Tra gli interrogativi che occupano la mente degli
educatori si affaccia molto spesso quello di come sia possibile
educare le giovani generazioni alla pace, alla convivenza pacifica,
allo sviluppo ed alla condivisione responsabile dei valori democratici,
perché le immagini e i messaggi che da tutto il mondo arrivano
favoriscono la costruzione di un immaginario di convivenza aggressiva
e violenta piuttosto che pacifica e costruttiva. Sembra infatti
che i nostri nuovi strumenti di diffusione delle informazioni si
siano particolarmente preoccupati di far circolare l’immagine
di un mondo che si occupa solo di regolare i rapporti tra i popoli
attraverso la forza delle armi.
Perché diamo forza a questa immagine senza poi domandarci
cosa vedono i ragazzi che sono lontani dai conflitti quando guardano
quelle immagini, cosa smuove in loro la notizia di una bomba esplosa
o di un kamikaze che si è fatto esplodere su un autobus?
Quale aiuto può dare per la costruzione di una convivenza
tra i diversi popoli e le differenti culture questo continuo flusso
di input espliciti ed impliciti che mostrano solo un mondo distrutto
e lacerato. Perché non viene lasciato dello spazio per poter
conoscere ciò che per la pace viene fatto e come si possono
costruire, nello sforzo quotidiano delle persone, meravigliose esperienze
di convivenza tra gruppi che qualcuno vuole mantenere ostile.
Educare alla pace significa in primo luogo recuperare il valore
della persona e il senso di ottimismo che ci permette di vivere.
Per questo può aiutare cominciare a fare vedere a coloro
che sono lontani dai conflitti che in quelle stesse realtà
convivono situazione di speranza dove ci sono persone che lavorano
per la pace e che anche se le loro conquiste e i loro successi sono
infinitamente piccoli rispetto ai grandi problemi del mondo, sono
gli unici che si avvicinano alla nostra dimensione del quotidiano
ed alle nostre possibilità di intervento per una società
diversa. Quelle esperienze sono le uniche che ci permettono di non
sentirci disarmati di fronte alle grandi decisioni politiche che
passano sopra le nostre teste.
Per questo è indubbiamente importante portare i ragazzi ad
esplorare come, attraverso il mondo espressivo, dell’arte
si possano raggiungere dei risultati molto spesso inaspettati. Una
esperienza di queste è lo spettacolo teatrale per dire che
la pace non è un’utopia ma un traguardo raggiungibile,
anche in un momento in cui l’odio e i conflitti sembrano essere
l’ultima e definitiva parola, specialmente nelle terre devastate
del Medio Oriente.
La compagnia israeliana“Teatro dell’Arcobaleno”
è formata da piu' di quaranta giovani attori provenienti
dalla Galilea e appartenenti a diverse etnie, culture ed esperienze
religiose, e porta in scena “Bereshit-In principio”:
uno spettacolo di mimo, suoni e danze, metafora artistica sia della
tragicità del momento che stiamo vivendo, sia della possibilità
di costruire nuove convivenze a partire da un confronto tra popoli
e persone che non cancelli ma valorizzi le differenti identità.
Proprio il teatro viene proposto come lo strumento che in maniera
efficace può esprimere questa possibilità e farla
diventare un’ipotesi di lavoro con cui sono chiamate a confrontarsi
la società civile e le istituzioni, in Medio Oriente e anche
in Occidente, dove il terrorismo e la guerra sembrano sempre di
più gli orizzonti di riferimento con cui misurarsi.
Artefice di questa incredibile e utopica, ma nello stesso tempo
appassionante esperienza educativa, è Angelica Calò
Livnè che insegna a recitare la pace a ragazzi ebrei, arabi,
circassi, drusi, cristiani, musulmani e che dagli stessi ragazzi
attinge la forza per sperare, anche nei momenti più terribili
del conflitto, di vedere un mondo migliore. Un mondo dove la pace
è possibile.
Dr. Silvia Guetta
Docente di Pedagogia all'Universita' di Firenze |