Avvenire -
domenica 11 aprile 2004 - pagina 9
Parte dal
kibbutz Sasa, vicino ai confini con
Siria e Libano, il lavoro di una donna
di origini italiane che porta sulla
scena li dramma della violenza in Medio
Oriente. E la possibilità di una nuova
convivenza.
Qui sopra, Samar Sahhar (a sinistra) e
Angelica Calò Livné a Gerusalemme lungo
la Via Dolorosa. In alto i ragazzini
arabi ospiti de l’orfanotrofio JeeI Al-
Amal («Generazione della speranza») a
Betania, e l’ingresso del forno dove
lavoreranno insieme donne palestinesi e
israeliane. Sotto, i giovani del Teatro
dell’Arcobaleno.
Ha abbracciato
un suo allievo arabo orgoglioso di
essere pronto a fare il kamikaze per il
bene della propria terra, e gli ha
gridato: tu non devi morire per la
Palestina, tu devi vivere per la
Palestina. Insegna in cinque scuole
dell’Alta Galilea, fa parte del gruppo
«Leadership nell’educazione» formato da
insegnanti ebrei, cristiani e musulmani
che costruiscono con i giovani progetti
di convivenza. Ventotto anni fa,
arrivata in Israele da Roma dove era
nata e cresciuta, ha deciso di fermarsi
a vivere nel kibbulz Sasa, a pochi
chilometri dai confini con la Siria e il
Libano, uno dei pochi in cui continua a
regnare la logica della. condivisione
totale dei beni tra i residenti. Ha
fondato la compagnia del Teatro
dell’Arcobaleno formata da giovani di
diverse etnie ed esperienze religiose
accomunati dal desiderio di costruire la
pace - ormai nota in tutta Israele e che
si è fatta apprezzare anche in Italia
con due tournée, l’ultima delle quali si
è conclusa pochi giorni fa.
Angelica Calò
Livné, ebrea, allieva prediletta di Elio
Toaff al collegio rabbinico di Roma
negli anni Settanta, è una donna minuta
e vulcanica, convinta che la pace non è
né un sogno per ingenui né uno slogan da
gridare in piazza, ma un mosaico da
costruire con la pazienza di ogni giorno,
e che per realizzarlo si deve cominciare
dall’educazione dei giovani. Anche con
il teatro.
«Che — spiega—
è la forma espressiva che più di ogni
altra permette la comunicazione di sé e
un confronto con l’altro, è il punto
della realtà dove la Bellezza presente
nel mondo si rende più evidente. Nel
nostro spettacolo — Bereshit. In
principio” —gli attori portano in scena
il dramma della guerra, la violenza che
permea i rapporti tra le persone, e
insieme la volontà di costruire una
convivenza in cui le differenti identità
non sono un ostacolo, ma piuttosto la
condizione perché la costruzione sia
solida e duratura, Il tutto secondo la
dinamica dell’incontro, la stessa che
anima i rapporti tra i ragazzi fuori
dalla scena e che ha permesso la nascita
di un’amicizia tra ebrei, cristiani e
musulmani in Galilea, germoglio di pace
per tutti i popoli che vivono su una
terra benedetta da Dio e bagnata dal
sangue di troppi innocenti». Angelica,
sposata con un insegnante che condivide
con lei la passione per l’educazione e
madre di quattro figli, è un tipo che
abbatte steccati e attraversa confini.
Due anni fa, al culmine dell’operazione
«Scudo di difesa» lanciata da Sharon,
pochi giorni dopo che i carri armati
israeliani erano entrati a Jenin, si è
spinta fino a Gerusalemme Est per
incontrare un’altra donna coraggiosa:
Samar, araba cristiana, direttrice
dell’orfanotrofio di Betania che ospita
bambini musulmani. E’ nata una stima
reciproca per il lavoro educativo a cui
entrambe dedicano le loro energie, ed è
sbocciata un’amicizia che le ha spinte a
mettere in comune quanto ciascuna di
loro, e i popoli a cui appartengono,
hanno di più caro: così un giorno si
sono date appuntamento al Muro del
Tempio dove pregano gli ebrei e da lì
percorrendo la via Dolorosa che
attraversa il quartiere cristiano di
Gerusalemme, sono salite al Santo
Sepolcro. Angelica è convinta che «ciò
che accade a Betania e nel Teatro
dell’Arcobaleno in Galilea è la
testimonianza che si può costruire anche
quando intorno sembra prevalere la
logica della distruzione, e che la pace
ha bisogno di tutte le nostre energie
umane ma è qualcosa di più grande dei
punto di vista di ciascuno di noi.
Sappiamo che dovremo soffrire, ma c’è un
disegno buono di cui tutti siamo parte.
Noi siamo solo delle tessere, ma alla
fine il mosaico si farà».